PATOLOGIE GRAVI & ASSISTENZA: L’OMAGGIO AI CAREGIVER ED AI FAMILIARI DI ANGELO VOZA
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PATOLOGIE GRAVI & ASSISTENZA: L’OMAGGIO AI CAREGIVER ED AI FAMILIARI DI ANGELO VOZA

(in copertina Cristo alla Colonna del Caravaggio)

di Angelo Voza

Siamo Angeli senza ali
Tutto inizia con un semplice gesto quotidiano a cui dai poca importanza e senza saperlo nasconde l’ingresso del tunnel più buio che un familiare di un malato grave può incontrare nella propria vita.
Familiari che diventano vittime di “effetti collaterali” di una guerra non dichiarata ad una malattia che non hai cercato e che ne hai solo sentito parlare.
Tutto inizia con un semplice gesto quotidiano.
Una famiglia impegnata come tante con tanti progetti ed una moglie dinamica tra casa, lavoro, figlie e che alla guida per prenderla in giro dicevamo che era una “Schumacher” per come era spericolata.
Un semplice gesto in cui mia moglie mi chiede di aiutarla ad aprire la porta di casa perché non riesce a girare la chiave. Forse si sarà addormentato l’arto come capita anche a me tante volte.
Poi ancora un semplice gesto quotidiano in cui mi chiama dall’auto perché non riesce a far girare la chiave nel cruscotto per metterla in moto. Sempre la stessa mano, la destra. Diagnosi da dilettanti: Sarà il tunnel carpale.
Situazioni che da saltuarie iniziano a ripetersi più frequentemente fino alla quotidianità. Inizia la trasformazione ma ancora non la si vede.
Organizzo una visita specialistica che in pochi giorni arriva e l’elettromiografia conferma una sofferenza dell’arto destro ma …….. C’è un ma.
La dottoressa a cui il tecnico aveva consegnato il referto inizia a far girare nervosamente quel foglio di diagnosi tra le mani. Gira lo sguardo verso quel paesaggio che si vede dalla finestra vicino alla sua scrivania facendo trascorrere interminabili secondi contornati da un assordante silenzio che agita la mia anima e quella di mia moglie.
Ci volge poi lo sguardo e con aria professionale ci dice che vorrebbe fosse eseguita una visita più scrupolosa. Solo per perplessità professionale ci chiede di ripetere l’esame ma in modo più approfondito. Una elettromiografia ad ago da eseguire in un centro specializzato, il migliore del sud Italia. Ci fornisce i contatti di un professore, un primario di Neurologia che contattiamo subito dopo aver lasciato lo studio della dottoressa.
Il Professore ci invita ad andare presso la sua clinica l’indomani. E noi ancora con l’idea del tunnel carpale attendiamo il giorno dopo.
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Sveglia di buon’ora e via in autostrada e dopo poche ore raggiungiamo la clinica specialistica. Burocrazia di rito e dopo circa un’ora di attesa mia moglie viene chiamata per l’esame.
Attesa infinita, ansia e mille pensieri percorrono la mia mente mentre aggirandomi nel corridoio tra i tanti manifesti affissi alcuni iniziano a mettermi ansia e cominciano a far diventare buia quella giornata di sole.
Esame ultimato, ci chiedono di attendere. Saremmo stati chiamati dal Professore.
Non so quanto tempo sia trascorso e neppure mi sono reso conto se lo scorrere del tempo venisse misuravo con le lancette dell’orologio o con la sabbia di una clessidra.
Era un tempo infinito che gelava l’anima.
Una voce ci distoglie dai pensieri. È l’infermiera che ci inviata ad entrare dal Professore e proprio in quell’attimo, entrando in quello studio, diventava subito buio, secondo dopo secondo, scorgendo il viso del luminare. All’improvviso mi rendo conto che forse la nostra vita da quel giorno sarebbe cambiata.
“Signora purtroppo le devo comunicare che lei è affetta da SLA”.
Ritorniamo a casa in silenzio cercando ognuno di capire il ruolo da avere da quel giorno in poi. La parte da studiare e quella da recitare. Era un’altra vita che si apriva davanti e non era più quella delle serate con gli amici. Le pizze e i ristoranti. Le vacanze o le festività in famiglia.
Tutto stravolto, ribaltato, azzerato, annientato. Non avremmo più visto gli arcobaleni.
Nei giorni successivi abbiamo iniziato a fare le “valige” per questo nuovo e solitario viaggio senza conoscere la meta ma con la consapevolezza che avremmo camminato con i nostri piedi o con una sedia a rotelle.
I giorni riprendono a scorrere con un nuovo strumento che avevamo abbandonato nel tempo. E’ la clessidra a segnare oggi il nostro tempo con l’inizio di un nuovo percorso.
Meno amici e più medici così oggi le nostre giornate. Visite specialistiche continue in centri specializzati.
Poi le terapie, alcune anche invasive.
Oramai non si cammina più da soli perché non si è capaci.
Ed ecco che arriva la solitudine interiore che comincia a camminarti dentro. La solitudine della malattia che colpisce il malato ma anche chi gli sta vicino.
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Le giornate una dietro l’altra fatte di programmi in cui le vacanze e gli inviti vengono sostituiti dalle prenotazioni per le visite mediche o per le terapie.
La nostra casa da un punto di incontro e cene in giardino con gli amici è diventato un ambulatorio in cui si alternano medici, infermieri e terapisti.
Una casa con giardino diventata un insieme di sofferenza e dispiaceri per una vita che maledettamente la “bastarda” ha voluto cancellare.
Le brevi passeggiate di oggi anche se lente, dopo due anni, sono accompagnate dalla sedia a rotelle. Il prendersi da soli un bicchiere d’acqua oggi è un farsi prendere un bicchiere d’acqua e così con il mangiare una pizza o la pasta. Non sei più autonomo.
La “bastarda” è arrivata a ribaltare la nostra vita e quella di altre famiglie che abbiamo conosciuto in questo percorso di sofferenza. Qualcuno purtroppo è giunto prima di altri al traguardo finale.
Oggi sono trascorsi circa due anni da quel giorno e neppure ricordo le parole, se ne ho pronunciate, o quelle di mia moglie che è invece scoppiata poi in un pianto pensando alle nostre figlie, alla nostra vita che da quel preciso istante veniva rovesciata totalmente.
Oggi noi familiari di malati gravissimi portiamo addosso la stessa sofferenza e la stessa malattia anche se ne siamo immuni. Soffriamo perché vediamo impotenti la china dei nostri cari senza poter fare nulla se non un sorriso di circostanza per nascondere il dolore e le preoccupazioni di quello che sarà domani.
Noi familiari a cui hanno voluto dare un tocco di modernità definendoci coregiver siamo vittime collaterali di una sanità che oggi ci ha abbandonati in quanto sono tutti distratti dalla nuova pandemia che ha monopolizzato l’interesse di tutto il mondo medico, scientifico e accademico, come se le altre malattie non esistessero più.
Soli in un cammino di solitudine cercando di dormire la sera con la speranza di risvegliarsi pensando ad un brutto sogno, ad un incubo.
Invece il risveglio ci butta in faccia la realtà ci riporta alla triste verità.
Siamo Angeli senza ali.