VENTISEIESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”
Cultura Eboli

VENTISEIESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”

Enrico VI, ammalato e distrutto nello spirito, è partito per la Germania lasciando Costanza sua moglie a Salerno, “ospite” dei salernitani; la quale si era ritirata nella dimora paterna, il castello di “Terracena” che, come afferma il Siragusa in una sua nota: <<… Era il nome del palazzo reale di Salerno>>. Ricordo ai lettori che il nostro capoluogo di Provincia era considerato la seconda capitale del regno siciliano e a volte anche “prima” moralmente perché era stata la “Capitale del Principato” più esteso e del più grande e famoso condottiero normanno, Roberto il Guiscardo. Eppure, il poeta, ne sentenzia la fine: <<Orbanda…urbe>>, cioè, una “… Città destinata all’abbandono(v.550), per aver tradito la fiducia dell’Imperatore e soprattutto aver mostrato slealtà nei confronti dell’imperatrice che era in Salerno loro ospite, loro sovrana normanna perché figlia del Re Ruggero, e loro imperatrice. I salernitani sono venuti meno nella loro lealtà per riappacificarsi con “Re Tancredi”; ed è questa condizione di “voltafaccia” che ispira il poeta a dare il titolo all’attuale particola XX: <<Fidei oblita religio>>, Viene a mancare il dovere della lealtà”; ben ricordando il tradimento dei salernitani alla loro sovrana.

Pertanto, questo capitolo ci riconduce a Salerno per incontrare l’Imperatrice e conoscere le sofferenze che i salernitani le avrebbero procurato da lì a poco. Infatti, la cittadinanza salernitana, dopo aver accolto inizialmente con affetto l’imperatrice per riconquistare la benevolenza di Tancredi, il quale aveva rafforzato il suo potere, annulla di fatto le buone intenzioni iniziali sequestrando Costanza approfittando della lontananza di Enrico VI. I tancredini circondano il palazzo e iniziano schernire Costanza affermando che <<Cesar abest. Certe nos et te, miseranda fefellit!>>, “Lontano è Cesare. Noi e te, o misera, certamente ha ingannato(v.561). Con queste parole, i cittadini cercano di minare il rapporto coniugale tra la coppia imperiale e far prevalere in Costanza l’esigenza di sostenere il partito normanno per conservarne la dinastia sul Regno di Sicilia” perché con Enrico VI Re la sovranità sarebbe passata agli Svevi, come avverrà, di fatto, dal 1198 con Federico II.

Purtroppo, il sequestro è il preludio di un’inesorabile decadenza della città; di un crepuscolo che spingerà Salerno nell’oblio, sostituita da Napoli come importanza del regno nell’era Federiciana. Così, il poeta ne annuncia anche il destino: <<Urbs pro te, quod te viderit, ista ruet>>, “Per causa tua rovinerà questa città, poiché s’è presa cura di te(v.566); quindi,  per aver tradito la fedeltà che la cittadinanza aveva promesso a Enrico VI allorché chiese di ospitare Costanza e tenerla al sicuro.

I Tancredini non si sono accontentati di tenerla segregata nel palazzo reale, ma iniziano anche ad assediare il castello che ospita Costanza; infatti, <<In dominam iaciunt furibunde spicula lingue… minis… quicquid fonda potest, quicquid balistra vel arcus, nititur in dominam!>>, “Lanciando contro la signora… strali… e pietre insieme con molte minacce. Ciò che può una fionda o una balestra o un arco, tutto viene scagliato contro la regina!” (vv.569-572). Il capitolo termina con un assedio dei salernitani a Costanza con tutti i crismi; assedio che continuerà nella prossima particola.

 

P.S. La traduzione dal latino è del prof. Carlo Manzione, dal libro “De rebus siculis carmen ad honorem Augustia cura di Mariano Pastore;  mentre l’articolo è tratto dal libro dell’autore: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”.