L’imbarbarimento della lingua italiana e l’autonomia di quella napoletana nell’era del “Coronavirus”
Italia

L’imbarbarimento della lingua italiana e l’autonomia di quella napoletana nell’era del “Coronavirus”

“Lock down” (“confinamento” o “isolamento”) e “rider” (“fattorini” che consegnano merce a domicilio in bicicletta) sono due termini inglesi che di recente sono entrati nel nostro linguaggio corrente. Una nota di Claudio Marazzini del 27 aprile 2020, riporta: <<Con il coronavirus è arrivata una gragnuola di parole straniere. Ad esempio, lockdown. Ha avuto un successo irresistibile, ma in Francia e in Spagna non esiste perché usano confinament e confinamiento. Qui da noi, per la fase di uscita, qualcuno già parla di post-lockdown>>. È evidente che il “Covid-19” abbia “contagiato” anche la lingua italiana, abituati come siamo a svendere tutto senza un briciolo di dignità culturale; Al contrario le due sorelle neolatine difendono la loro cultura e si sono ben guardate di far uso di termini stranieri, che nel nostro lessico superano di gran lunga il 2% del 1989 (oggi ci avviciniamo al 10%) che stanno imbarbarendo la nostra lingua. A me sarebbe bastato il solo “O.K.” per la sua brevità; ma poi, basta.

Eppure, la lingua italiana è tra le più affascinanti al mondo, non merita disprezzo. Fino al 1700, grazie Regno di Sicilia di Ruggero II che si estendeva fino alla Tunisia e a Federico II, è stato l’idioma di “garanzia” nei rapporti commerciali e politici tra i paesi mediterranei; nei loro archivi, Marocco, Tunisia, Algeria e persino Egitto conservano ancora registrazioni in lingua italiana. Pertanto, con rammarico si costata che il cittadino italiano sfoggi l’inglesismo con “naturalezza” e ne esalti i termini per mostrare una presunta cultura a danno del nostro italiano. Sarà fisiologico, quindi, che dopo aver buttato all’ortica il nostro orgoglio linguistico: il latino, faremo altrettanto con la lingua di Dante, miglior poeta mondiale di codesto millennio. L’utilità di “conoscere l’inglese” (che ha sostituito il latino in campo europeo!) nelle comunicazioni internazionali è sacrosanta! Infatti, le nostre scuole di ogni livello hanno adottato l’inglese <<Come lingua necessaria>>; ma ciò, non significa “inglesizzare” la nostra lingua, sostituendone i termini nel linguaggio parlato, perché né l’Inghilterra, né la Spagna, né la Francia fanno uso di vocaboli italiani nel loro lessico corrente.

L’Italia latina, culla d’oltre 65% della cultura mondiale, dopo aver creato nobili idiomi dalla lingua madre, sta barattando la sua latinità con una lingua che in questa eccezione (giuridica) definisco barbara. Così, prima ci siamo concessi di “uccidere” la lingua  latina; e ora, l’Italia, non riesce a conservarsi neanche la propria. Riusciamo a conservare almeno il Napoletano?

La lingua Napoletana, appunto! Se l’Italia non apprezza più la sua lingua, non è così per i napoletani. Pochi sanno, fuori dalle nostre terre, che codesta lingua neolatina presenti una ricca e antica letteratura, e solo oggi relativamente nota a livello nazionale e mondiale, al punto da essere adottata dall’UNESCO come un “bene dell’umanità”. Secondo i miei dati, essa nasce nell’anno 1200 (periodo federiciano) con la filastrocca musicata di “Jesce sole”. Precede di circa vent’anni la “Scuola Siciliana”; annovera tra le opere letterarie le traduzioni in napoletano di classici, come la stessa poetica latina di Pietro da Eboli, con due edizioni del 1310 e 1340 e opere epiche come “La Gerusalemme liberata” del Tasso, di Gabriele Fasano (1600). Il teatro Napoletano, poi, è il fiore all’occhiello della cultura italiana “senza tempo”; è spontanea creatività propria napoletana, capace di inventare teatro dalla vita quotidiana. Infine, la poesia classica musicata napoletana, vero orgoglio mondiale; esaltata dalla vena poetica di Salvatore di Giacomo e di tanti altri, dell’’800 e ‘900, oltre a poeti di tempi remoti. La canzone napoletana è poesia! È letteratura! Essa è cantata in tutto il mondo. Non a caso <<‘O sole mio>> o, <<Funiculì funiculà>> o altre canzoni famose, a scelta, non muoiono mai perché fanno parte di un repertorio musicale eterno, dalle Americhe fino alla Russia; e il maggior interprete, con <<‘O sole mio>> è Elvis Presley, elevata a inno mondiale.  E pensare che mentre auspico lo studio del latino medievale nelle scuole superiori meridionali per studiare l’eccellenza poetica di Pietro da Eboli… l’Italia baratta la sua cultura con gli inglesismi!