Strage di Pizzolungo: La toccante testimonianza storica del Maresciallo GdF Angelo Voza
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Strage di Pizzolungo: La toccante testimonianza storica del Maresciallo GdF Angelo Voza

Il Magistrato, la Bambina ed il Milite: la memoria della strage mafiosa di Pizzolungo raccontata da un nostro concittadino Angelo Voza che abbiamo l’onore di ospitare sulle nostre pagine.

Trapani-Eboli: 2 aprile 1985 ….. 2 aprile 2023.

Sono trascorsi 38 anni …. ed io non dimentico e non cancello. Era il 2 aprile del 1985. Da due giorni avevamo passato la consegna della scorta del Giudice Carlo Palermo ai colleghi della Squadra Mobile di Trapani.  Era una mattina senza sole, ma calda. Con i miei colleghi del 1^ Drappello Investigativo del Nucleo PT della GdF di Trapani ero davanti alla Caserma di via Valona e ad un tratto riconosco dietro di me il motore della Fiat 132, la blindata assegnata al dottor Carlo Palermo. L’autista Rosario Maggio si ferma e come sempre mi saluta con un abbraccio e un bacio alla siciliana maniera.  Segno di stima ed affetto che ancora oggi conservo verso le persone che stimo. “Angioletto sto andando a prendere il dottore. Fra mezz’ora ci vediamo sotto il Tribunale per il caffè”.“ Va bene Rosario mio, ci vediamo lì”.  Il rito del caffè era giornaliero con chi condivideva con te quel percorso di vita. Salgo in ufficio, le carte di indagini sono sempre tante e cerchi di dare sempre il meglio di te stesso.  Poi i colleghi che ho sempre reputato fratelli, il Comandante, un fratello maggiore. La nostra era una Squadra molto affiatata. Sguardo veloce ad un fascicolo e con i colleghi decidiamo cosa fare. Appostamenti, ricerche di collegamenti. Uno sguardo veloce al calendario: martedì 2 aprile.  Mentre ci scambiavamo delle idee sul da farsi, giunge un fortissimo boato.  I vetri tremano.  Noi fermi a fissarci negli occhi. Non era la prima volta che sentivamo questi “botti” perché a qualche chilometro da noi c’erano le cave di marmo di Custonaci e la direzione dello scoppio era la stessa.  Ma questa volta era troppo forte. Qualcosa non mi convince. Scendo con il mio fraterno amico alfista Tommaso e arrivo davanti al portone. Tutti avevano sentito l’esplosione. Mentre giungevo sulla strada sento delle auto correre veloce a sirene spiegate .Mi giro ed erano auto della Polizia che passano veloci direzione Bonagia dove abitava il dottor Carlo. E’ una frazione di secondi, attimi. Arriva di corsa fuori la caserma verso di me il collega della Sala Operativa: “Angelo c’è stato un attentato al dottor Palermo”. Pochi secondi e sono in macchina .Sirene accese, velocità sostenuta. Ancora altre auto dei Carabinieri e ancora Polizia tutti nella stessa direzione. Arriviamo a Pizzolungo. Strada bloccata da pattuglie. Passiamo senza neppure rallentare. Iniziamo a fare zig zag tra pezzi di motori e lamiere di auto sparse sull’asfalto già molti metri prima del luogo dell’attentato.  Arriviamo vicino alla Fiat 132 tutta deformata.  Dietro la Fiat Ritmo di scorta dei colleghi Amici della Polizia con tutti i vetri frantumati. Odore di esplosivo brillato. Giubbotti anti-proiettili sull’asfalto insanguinati. I nostri amici Colleghi della Polizia e l’autista Rosario tutti seriamente feriti, tutti in ospedale. Il dottore Carlo ha avuto la forza di andare prima in ufficio in Procura ma poi trasportato in ospedale. Giro in quell’inferno terrestre tra colleghi con sguardi smarriti, attoniti. Troppo scempio. Una dinamica atroce. La macchina con una giovane madre ed i suoi due gemellini ha fatto da scudo nell’esplosione alla blindata del magistrato ed è stata disintegrata. Scomparsa, volatilizzata. “Bastardi, bastardi” mi ripetevo. Averli tra le mani quei bastardi. Esseri ignobili ed infami. Noi, con le nostre scelte di vita e con un giuramento lo mettiamo in conto che un giorno come il 2 aprile potrebbe arrivare ed essere l’ultimo. Noi l’abbiamo scelta questa vita, ma la signora Barbara, no.  Salvatore e Giuseppe di sei anni, no. Quella villa dista quasi cento metri ed ha una facciata bianca rivolta verso il mare.  Rivolta verso il punto dello scoppio. Sulla parete bianca in alto c’è una strana macchia rossa. Di un rosso molto intenso e forte. Ci avviciniamo e vedo dei colleghi in lacrime.  Per terra, in corrispondenza di quella macchia posta in alto, brandelli umani. Era uno dei gemellini. Per terra sparsi c’erano dei quaderni di scuola con dei disegni che gridavano “perché” Via radio la Centrale non smette di emanare direttive: “Portatevi subito in Ospedale. Sicurezza al dottor Palermo”. Sulla strada per l’Ospedale c’era la mia casa. Chiedo al collega Tommaso di fermarsi un attimo. Salgo di corsa le rampe di scale.  Mia moglie mi chiede cosa era successo.  Aveva sentito lo scoppio e le sirene. A quel tempo niente cellulari e neppure il telefono in quella casa dove abitavo da poco. Non parlo e lei capisce. Vado dritto in camera da letto dove nella culla dormiva la nostra piccola Lucia. Aveva pochi mesi. Era nata a gennaio. L’accarezzo e piango in silenzio. Dei bambini, due gemellini di sei anni, come lei volevano vivere ma da quel giorno non c’erano più. L’ho accarezzata come fosse la prima volta e nello stesso tempo come se fosse l’ultima.Mi giro per andare. Mia moglie mi abbraccia in silenzio. Non sa quando mi avrebbe rivisto perché quei giorni sarebbero stati senza tempo. Era il 2 aprile. Un giorno che ha cambiato la mia esistenza, la mia vita e quella di tante altre persone.  Ha segnato lo spartiacque di una scelta. La nostra vita per difendere un ideale di giustizia e la speranza per  una nuova primavera. Ho portato sempre nel mio animo questi ricordi. Ho vissuto con Uomini che hanno scritto pagine di storia.  La storia di questo Paese, quella fatta di Eroi semplici che hanno lasciato tracce indelebili nel cuore di chi ha avuto l’onore di condividerne i momenti. In questo nuovo 2 aprile un mio pensiero ed una preghiera è per la signora Barbara e per i gemellini Salvatore e Giuseppe, anime innocenti sacrificate da esseri scellerati e senza Dio.  Belve ben descritte da Peppino Impastato e che condivido fermamente: “La mafia è una montagna di merda” ed io aggiungo “i mafiosi, i camorristi e ‘ndranghetisti ne sono la materia prima: merda”.

Cav. Angelo Voza

Lgt. in quiescenza della Guardia di Finanza  già Capo scorta del Giudice Carlo Palermo nel 1985 e successivamente addetto alla Squadra di P.G. Investigativa Antimafia della Procura della Repubblica di Trapani.