Storia di tre figure carnevalesche: Arlecchino, Pierrot e Pulcinella- di Mariagrazia Toscano
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Storia di tre figure carnevalesche: Arlecchino, Pierrot e Pulcinella- di Mariagrazia Toscano

Le indiscusse protagoniste del Carnevale sono le maschere, particolarmente quelle
classiche e più conosciute che appartengono alla tradizione e storia italiana,
ciascuna di esse con una storia interessante alle spalle.
Arlecchino, maschera italiana della Commedia dell’Arte e successivamente
maschera di carnevale, protagonista o personaggio di numerosissime commedie,
pantomine e balletti, italiani ed europei. Il suo nome è forse corruzione di Alichino,
un diavolo che Dante nomina nella Divina Commedia tra i seguaci di Malebranche.
La tradizione vuole che egli sia nato a Bergamo Bassa, e Brighella, suo frequente
compagno di avventure, a Bergamo Alta. Il suo carattere di servo sciocco (egli è una
delle varianti dello Zanni, il servo tipico della Commedia dell’Arte), ma dotato di
corpo agilissimo ed una illimitata ingenuità che gli consente di compiere
imprevedibili gesti mirabolanti, si contrappone appunto a quello di Brighella, furbo
ed abile, ma privo di qualsiasi estro e poesia. Ingenuità, agilità e poesia, sono
appunto le doti fondamentali che lo accompagnano attraverso i secoli, dalla seconda
metà del ‘500 in poi, ed attraverso il mondo, ovunque sia esistito un palcoscenico
oppure anche solo un palco primitivo adatto alle esibizioni dei comici italiani.
Il suo costume, inizialmente costituito da stracci variopinti ad indicare l’avvilimento
di una condizione sociale, ando’ fissandosi nel ‘600 nella forma che è nota a tutti, e
cioè una lunga blusa e pantaloni stretti in fondo, di stoffa disegnata a losanghe di
colori diversi. In testa ha un cappelluccio di cencio bianco, in mano una spatola di
legno, forse scherzosa satira della clava d’Ercole. Sul volto porta una maschera
intera, nera e ferina, ridotta dalla fine del ‘700, ad una mezza maschera. Egli si
accattivo’ molto presto le simpatie del pubblico più di ogni altra maschera, sicchè
verso la fine del ‘700, divenne il protagonista in Italia, e poi in Francia, d’infiniti lavori
teatrali. Particolare fortuna ebbe in Inghilterra, dove la seconda parte delle
pantomumes, che sono a tutt’oggi gli spettacoli popolari più famosi, è dedicata all’
“arlecchinata” e cioè alla trasformazione di Arlecchino vittima in Arlecchino –
vincitore e deus ex-machina della vicenda rappresentata.
Nella commedia dell’Arte, accanto ad Arlecchino compare sempre Colombina o
Arlecchina (ed anche Corallina, Smeraldina, ecc.), una servetta furba e graziosa, che
nonostante gli faccia patire mille pene d’amore torna sempre a lui. Anche
Colombina o Arlecchina indossa spesso un abito a losanghe colorate.

La storia del teatro ricorda una gloriosa serie di grandi Arlecchini: tra questi,
ricorderemo Domenico Biancolelli nella seconda metà del ‘600, attiva
prevalentemente in Francia; Carlino Bertinazzi e l’inglese John Rich nel ‘700, infine
Marcello Moretti, ultimo grande Arlecchino Italiano che, nella commedia “Il
servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, fece rivivere con immenso successo
l’immortale, maschera oltre che in Italia, nei principali teatri di tutto il mondo.
Il nome di Pierrot è un francesismo che deriva dal personaggio italiano della
Commedia dell’Arte Pedrolino, uno dei primi Zanni, interpretato, nella celebre
Compagnia dei Gelosi, da Giovanni Pellesini, alla fine del ‘500 uno dei primi Zanni,
interpretato, nella celebre Compagnia dei Gelosi, da Giovanni Pellesini, alla fine del
‘500.
La pigrizia gli vieta di muoversi come gli altri personaggi della Commedia, è
certamente il più intelligente dei servi, svelto nel linguaggio, critica gli errori dei
padroni e spesso finge di non capire i loro ordini, anzi li esegue al contrario, non per
stupidità, ma perché li reputa errati. E’ furbo ma sentimentale, l’unico personaggio
che, a un piatto di minestra, preferisce una romantica serata eseguita sulla mandola,
sotto le finestre della sua innamorata. Tendenzialmente malinconico, ama
appartarsi distaccandosi totalmente dalle altre maschere, amanti del gran chiasso e
degli scherzi, forse anche perciò è pallido e languido, lunare, e sovente una lacrima
gli riga la gota bianchissima.
Il celebre personaggio fu portato in Francia, dove entrò a far parte dei repertori
delle Compagnie francesi con il nome di Pierrot, grazie all’aiuto di Giuseppe
Geratoni che per primo che per primo lo introdusse nel 1673; ma il primo grande
Pierrot fu ancora un italiano, Fabio Antonio Sticotti (1676 – 1741), in seguito il
personaggio fu perfezionato dal figlio Antonio – Jean Sticotti (1715 – 1722) che lo
esportò pure in Germania.
Gli Sticotti reinventarono e diedero nuova vita a questo personaggio adattandolo al
gusto dei francesi e poi del pubblico delle corti europee, infatti, nella versione
francese, Pierrot perse le caratteristiche caratteriali di astuzia e doppiezza, tipiche
dello Zanni per diventare il mimo dallo sguardo dolce ed un po’ triste, innamorato
della luna, quello che compare con il nome di Gilles nel famoso quadro di Antoine
Watteau.

Il mimo Jean – Gaspard Debureau (1796 – 1846), rappresento’ il Pierrot
ottocentesco dal 1826 al Thèatre des Funanbules. La vita di Debureau ispirò al
regista cinematografico francese Marcel Carnè il personaggio di Gaspard del film ‘
Les enfants du Paradise’. Egli defini’ le caratteristiche che successivamente ne
definirono l’iconografia: un ampio abito bianco con larghi pantaloni, bottoni neri ed
un piccolo cappello nero sul volto dipinto di bianco.
Pierrot, è la maschera tradizionale da me preferita, con il suo volto diviso a metà,
con un lato triste ed un allegro, pallido e lunare, con il suo aspetto malinconico,
nostalgico e misterioso che tanto mi caratterizza da sempre!
Pulcinella, maschera del teatro popolare napoletano. Il nome, di origine incerta,
sembra derivare secondo l’ipotesi più attendibile dal napoletano pulcinello (piccolo
pulcino), e ciò spiegherebbe il suo naso adunco, la sua voce chioccia e goffagine del
comportamento. Una congettura è anche la presunta parentela della maschera con
Macco, personaggio delle atellane. Con sicurezza può dirsi solo che egli fece la sua
trionfale comparsa sulle scene negli ultimi anni del ‘500. A partire dal ‘600 fino ai
nostri tempi è stato il vero protagonista del teatro napoletano. E’ difficile
sintetizzare il carattere del personaggio, che ci appare ora sciocco ora scaltro, ora
vinto ora giustiziere, e sfugge quindi ad una definizione precisa, può dirsi tuttavia
che nelle più disparate situazioni, la sostanza della sua comicità sia sempre intessuta
di una umanità dolente ed insieme spensierata, che ne fa il simbolo stesso del
popolo napoletano.
Nel ‘600, Pulcinella era già vestito di bianco, il suo vestito, infatti è ricavato da un
lenzuolo bianco, come simbolo del letto, luogo in cui si nasce e muore, principio e
fine della vita, il cappello, in un primo tempo a larghe tese rialzate sui lati, ducrine
poi a pan di zucchero. Tipico è anche la mezza maschera nera solcata di rughe.
In Francia, verso la fine del ‘600, il costume diventò multicolore. Rimasto legato ai
suoi geniali interpreti da Silvio Fiorillo ad Andrea Calcese (1618 circa -1656), fino ai
Cammarano (Vincenzo Giancola, 1720 – 1802; Filippo, 1764 – 1842; Giuseppe, 1766
– 1850), a Pasquale Altavilla (1806 – 1872), ai Petito, Pulcinella doveva fatalmente
sparire con la loro scomparsa, privi com’erano i testi delle cosiddette “pulcinellate”
di qualsiasi validità artistica. Fuori di Napoli, benché meno clamorosa, la fortuna
delle maschere fu notevole: nel 1649, per es. comparvero a Norimberga e poi a
Francoforte, a Berlino, ecc., Polizinelle italiani, prima ancora ve ne erano stati in

Francia (Polichinelle) e più tardi si propagarono in Spagna (Pulchinello), in Inghilterra
(Punch),ecc.
Chi non conosce la famosa filastrocca di Pulcinella? Ricordo che da bambina mio
padre buonanima m’insegnava questa curiosa canzoncina: “Pulcinella aveva un
gallo, tutto il giorno vi andava a cavallo, con la briglia e con la sella. Viva il galletto di
Pulcinella! Pulcinella aveva un gatto, tutto il giorno saltava da matto, suonando una
campanella. Viva il gattino di Pulcinella!”.
Ed ora una piccola curiosità: il famoso “ segreto di Pulcinella”, è un falso segreto,
qualcosa che ormai è diventato di dominio pubblico nonostante i tentativi di tenerlo
nascosto.
Mariagrazia Toscano