DICIANNOVESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”
Cultura

DICIANNOVESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”

La particola XIII: <<Castrorum inclinatur proceritas>> (“Vengono distrutti gli alti castelli”) non lascia dubbi sull’esito dell’ingresso di Enrico VI nel Regno di Sicilia: distruzione e morte sul suo cammino per chiunque gli si sarebbe opposto. Infatti, se la particola dodicesima conclude con l’ingresso di Enrico VI nel Regno di Sicilia; la successiva non poteva iniziare, come dal titolo, con degli atti degni del suo appellativo più ricordato nella storia: crudele!

 

Entrato nel regno, <<Castra movens Cesar, Montis volat arva Casini in quo Rofridus cura fidelis erat>> (vv.334-335): (“Cesare toglie le tende e s’affretta verso le terre di Montecassino, dove stava Roffredo, che era il fedele custode”), la prima tappa dell’imperatore è Montecassino; accolto dall’abate Roffredo de Insula, definito dal poeta fedele, il quale si sarebbe sottomesso all’imperatore. In realtà, non fu l’abate ad accogliere lo Svevo, dichiaratosi <<ammalato>> come riporta il Siragusa, ma il decano del monastero. L’abate, infatti, era l’ultima persona da poter appellare “fedele” per il suo eterno comportamento “opportunistico”. La sua instabilità in politica era manifesta; infatti, già prima che Tancredi fosse eletto re, nel 1189, si era schierato con i baroni contro il Sovrano; ma poi, nel 1191, promise appoggio al nuovo re in cambio di Rocca di Bantra e Rocca Guglielmina; in poche parole, si schierava con tutti e con nessuno, secondo la convenienza. In questo caso si sottomise per non istigare l’ira dell’imperatore, difficile da controllare, come riporta il poeta stesso, <<Sola refrenavit Cesaris Arma fides>> (v.337): (“Solo la sua lealtà tenne a freno le armi di Cesare”). In caso contrario il monastero sarebbe stato raso al suolo.

 

Purtroppo, la crudeltà di Enrico VI non risparmiò chi si oppose alla sua marcia. Infatti, una sorte diversa toccò alla Rocca d’Arce, difesa da Matteo Burello per conto di Tancredi, <<Subditur imperio notati gloria castri quo dux a misero rege Burellus erat>> (vv.338-339): (“Con la nota forza è sottomesso all’impero il glorioso castello, dove per incarico del misero re era a capo Burello”). Rocca d’Arce fu espugnata come esempio per le altre rocche perché essa <<… Enim “princeps” nomen et esse gerit>> (v.341): (“Arce, infatti, prende nome e importanza da ‘principio’”) era la più munita ed era situata su un aspro monte. Il nome di “Arce” è preso dal sostantivo greco ἀrcή, che significa “principio”, “primo”; quindi, era la prima rocca, la più difficile da espugnare; per questo, è presa come monito per le altre rocche che pure saranno distrutte. Capua, invece, grazie al fedele arcivescovo Matteo, accolse felicemente Enrico VI, <<I, Capuane pater, nec te consulta morentur… Assigna populos aquilis victricibus, orna menia, quod doleas,ne furor ensis agat>> (vv.344… 348-349): (“Va’, o padre di Capua, e non indugiare in consulti… Affida il popolo alle vittoriose aquile, adorna le mura, affinché il furore delle armi non faccia dolerti”). La fedeltà dell’Arcivescovo sarà premiata con la sua costante presenza nelle cerimonie più importanti al seguito dell’imperatore.

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