“LA CHIESA ED I SUOI RITUALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS”: UN REPORT LETTERARIO DI LAURA AVELLA
Covid Religioni-Spiritualità

“LA CHIESA ED I SUOI RITUALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS”: UN REPORT LETTERARIO DI LAURA AVELLA

Sono varie le sfaccettature della crisi causata dal covid – 19, una delle più importanti è certamente il profilo spirituale, ovvero quello che non consente ad oggi un facile accesso ai luoghi di culto, e per molto tempo questi, usando una terminologia anglosassone, sono stati off-limits.

Pertanto non poteva di certo mancare una riflessione nel merito dell’ avvocato Laura Avella, la quale ogni settimana ci delizia con delle sue dissertazioni in ambito sociale, non lesinando auliche stille di poesia in prosa.

Una disamina redatta come come sempre,  con passione e giustezza dall’amica Laura, rinomato avvocato partenopeo di origine cilentana (Perdifumo), editorialista storica della casa editrice “Il Saggio” e  parimenti dell’omonima e autorevole rivista di Eboli.

L’avvocato Laura Avella è presente da tempo anche nel mondo culturale cilentano, rivestendo il ruolo prestigioso di componente di ViviCilento, associazione a caratura provinciale che promuove il territorio e le migliori tradizioni del Cilento.

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La Chiesa ed i riti sacri  al tempo del coronavirus 

“Din Don sono i ritocchi che echeggiano dal campanile e scandiscono  il tempo, ma il male non demorde.
Che bello sentire il suono delle campane quando nel piccoli borghi le ragazze, ancora si preparano per la festa e per  uscite in paese, per guardare ed essere guardate, certo oggi ci sono i social ed il  loro musetto viene sfrontatamente impostato per un selfi.
Ma non si può  uscire, le campane suonano ed il tempo nello stesso istante  è fermo e si muove.
La solitudine di un Cristo sulla croce al tempo di Pasqua ha lasciato attonito tutto il mondo,  un uomo vestito di bianco  solo sul selciato e tante vite distrutte.
Che gioia preparare la  semina per il sepolcro,  il grano segno di vita quella che nasce e poi muore e poi risorge.
Che cupo dolore  Maria sola nel cuore del mondo ed il figlio morto, ed ogni figlio che è morto è stato lasciato  solo verso il trapasso senza un ultimo sguardo all’amico o al parente,  nessuno che poteva ricordalo in una chiesa “ svuotata” dalla  missione estrema della dipartita.
Un auto benedizione,  chi lo avrebbe detto che la palma santa l’avremmo benedetta da soli, quando la stessa palma i ragazzini negli anni 60 la portavano in chiesa con tante caramelle e confetti in segno di gioia e golosità.
Un dolore a Pasqua che ha spaccato il cuore con le ferite dei  battenti ,  che si sono aperte simbolicamente in segno del  ricordo delle sofferenze antiche del Cristo e moderne dell’uomo semplice che soccombe per il virus.
Nessun rito tra sacro e profano, nessun canto latino ormai sbiadito nei ricordi del più anziano priore che, aveva fatto lavare e stirare la sua tonaca e la mozzetta di confraternita., per compiere ancora una volta il giro dei paesi e intonare i canti di morte del figlio di Dio. 
E’ stato accesso è il cero perché si possa sperare che la luce si troverà in fondo al tunnel.
Intanto i rintocchi continuano  a farsi sentire, ma è solo il tempo un quanto d’ora ed ancora un quarto e le    ore scorrono, dal sacro  pulpito arriva una voce fino all’esterno e le vecchiette vorrebbero entrare in chiesa , ma con timore di fare danni si guardano tra loro rispettando la distanza e mandarono un bacio alla Madonna , come si fa con un ‘amica che è in punizione a casa e le guarda con tristezza dietro i vetri della finestra.
Scrutano ancora prima di tornare a casa deluse e sembra che le vogliano dire : siamo qui ma non possiamo entrare. Ma  quanti grani del rosario non sono stati recitati in compagnia e quante mani non  si sono strette in segno di pace.
 Bella tanto bella è  la Vergine Maria da far venire i brividi, e quelli  ora  vengono  alle ragazze del coro ed  alle catechiste che avrebbero addobbato la barca con tanti fiori colorati e profumati per coloro che quest’anno avrebbe avuto l’onore di  portata il legno antico  in processione per le strade del paese dove ancora il rito prevede le fedeli con le cente sulla testa,  in fervido rigoroso portamento come tante colonne greche con il capitello .
Che belle preparate con devozione a con tante candele  e fiori di carta  colorata, qualcuna cede al calore del sole , ma tutte arrivano fino all’altare.
L’acqua santa,  il pane benedetto l’ostia corpo di Cristo quante privazioni quante sofferenze.
Risuona la campana ed intanto si è svegliato il bambino e la mamma pensa chissà  quando lo  potrà battezzare questo angioletto?
Potrebbe andare al matrimonio dell’  amica che ancora piange per aver dovuto rimandarlo  dopo aver convinto l’eterno fidanzato a “ metter la testa a posto” . E piange anche la bambina, dopo due anni di catechismo,  che aveva sognato l’abito per la comunione e la festa con gli amici in riva al mare.
Suona ancora la campana per i fiori  non raccolti,  colorati e profumati con i quali con maestria come tanti  tappeti  ricoprivano le vie con tante effigi e riti e tradizioni:  dei veri capolavori. 
Pentecoste non avrà la solita banda musicale del paese limitrofo chissà se il sassofonista è sempre così bello penseranno le ragazze che vorrebbero uscire tra le bancarelle della festa , le luci colorate dei decori ed i fuochi d’artificio.
Nulla è più possibile il chierichetto non serve più messa, il parroco da solo chiude le luci della navata centrale e si ritira di corsa in sacrestia,  è finita la messa e “ andate in pace “ sarà solo una frase rimandata.”

 Laura  Avella