QUINDICESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”
Cultura

QUINDICESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”

Se il fine ultimo del poeta Pietro è dimostrare che “un uomo” nato da una <<… Non bene nupta parens>> (v.237); (Madre non ben maritata>> debba essere per forza persona spregevole, come nel caso della nascita di Tancredi, l’attuale particola IX serve allo scopo; perché l’Ebolitano definendo il novello Re, come al solito: <<Ridiculum, natura, tuum: res, simia, turpis, regnat abortivi corporis instar homo>> (vv.234-235); (“Un tuo scherzo, o natura: un coso brutto, una scimmia, un aborto di uomo occupa il regno.”), lo priva di ogni dignità. Inoltre, mette in dubbio anche le qualità di comandante militare, doti indispensabili per un pretendente al trono quando afferma: <<Que vis, que probitas potuit, que fama quis ensis maiestativum promeruisse decus?>> (vv.238-239) (“Quale valore, quale virtù, quale forma o gloria militare gli poterono meritare l’onore della dignità regale?”). In realtà Tancredi fu un valente comandante, ottenendo importanti vittorie con la flotta siciliana nelle acque dell’Egeo (Tessalonica e Cipro) e nelle acque del Mediterraneo orientale, specie contro i bizantini. Il Re Guglielmo II, suo cugino, apprezzò molto la capacità di Tancredi nell’arte di comandare; insomma tutt’altra persona da quella descritta dal poeta.

Pietro, per evidenziare, invece, la perfidia del novello Re, riporta anche l’imprigionamento di Ruggero d’Andria, suo lontano cugino; il quale anche lui aspirava al regno quando avversava ancora la casa sveva, ma senza riuscirci; solo dopo l’insuccesso si schierò con Costanza ed Enrico VI, contro Tancredi, quando quest’ultimo era già re. Infatti, fu proprio lui a scrivere all’Imperatore di scendere in Italia a occupare il regno per conto della moglie Costanza. Pietro lo accusa persino  di tradimento: <<Cum foret ille tuus falso comes, Andria, captus… quem periura fides, quem pacis fedus inique fallit, et oscuro carcere clausus  obit.>> (vv.246-249); (“E proprio il tuo conte, o Andria, quando fu catturato a tradimento… un falso giuramento, un subdolo patto di pace in inganno lo trassero e morì rinchiuso in un tetro carcere.”). In realtà, le cose non sono andate così; perché, appena Tancredi fu creato Re (1189), Ruggero d’Andria, per lo smacco ricevuto, organizzò una rivolta di molti baroni contro il sovrano; le sue truppe si unirono a quelle tedesche di Enrico VI, sollecitato dallo stesso conte con una lettera. Ben presto, nei pressi di Ariano, dove si era arroccato Riccardo d’Acerra, Ruggero fu lasciato da solo quando l’esercito tedesco spazientito, decimato da un’epidemia e privo di rifornimenti tornò in Germania; il quale, pur sapendo di combattere per una causa impopolare che in caso di successo avrebbe portato un casato straniero nel Regno di Sicilia, continuò la sua personale guerra contro il re chiudendosi nella fortezza di Ascoli Satriano. Riccardo d’Acerra, non riuscendo a catturarlo ricorse alla diplomazia promettendo la pace; ma appena si arrese lo fece imprigionare e forse uccidere. Il poeta, quindi, lamenta l’inganno con cui fu catturato Ruggero d’Andria. In realtà, il poeta, esalta Ruggero solo perché, dopo il suo personale insuccesso nell’ascesa al trono, si era schierato con Costanza, ma non menziona che egli stesso avesse tale aspirazione pur non essendo di stirpe reale, quindi meno degno di Tancredi per tale titolo. Ruggero fu la causa e il fautore della guerra civile siciliana, e solo per invidia. Pietro non menziona, come afferma Riccardo da San Germano, che Riccardo d’Acerra prima di catturarlo <<Poiché non lo poteva piegare con le preghiera e le promesse>> come aveva fatto con altri baroni, fu costretto a prenderlo con l’inganno, per liberare il Regno di Sicilia dalla continua guerra civile. Ruggero fu dichiarato “Nemico dello Stato” e accusato di “alto tradimento”. L’Acerrano ritenne di non poterlo più lasciare in vita; per questo fu Condannato a una morte miserevole>>. Accusare, quindi, Tancredi di essere <<Hunc aliosque viros fallax intoxicat anguis>> (v.258); (“La biscia ingannatrice uccide costui e gli altri uomini”) si va oltre la storia.

Per quanto sopra, la cattura di Ruggero non fu opera di Tancredi, ma del suo luogotenente. Eppure nelle miniature, circa la cattura e prigionia del conte d’Andria, il poeta sostituisce Riccardo d’Acerra con Tancredi, attribuendogli l’atto diretto dell’inganno. È pur vero che l’acerrano non si facesse molti scrupoli nel raggiungere uno scopo, ma fece ricorso all’inganno solo come extrema ratio” per catturare Ruggero. Fu una “conditio sine qua non” per il periodo storico che si viveva, molto simile ad altri casi per la salvezza dello “Stato di diritto” esistente.

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