VENTICINQUESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”
Cultura

VENTICINQUESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”

Tutto è compiuto! L’imperatore Enrico VI è costretto a ritornare in Germania senza aver potuto espugnare Napoli e conquistare il Regno di Sicilia. Il titolo della particola XIX ne sanziona la resa: <<Imperialis ab obsidione regressus>>, (“Il ritiro dell’imperatore dall’assedio”).

Da cronista di parte il poeta continua a insinuare l’idea che Enrico VI avesse tolto l’assedio alla città di Napoli, non per l’inespugnabilità della città e all’ottima difesa dei cittadini guidati da Riccardo d’Acerra e in parte dall’arcivescovo Niccolò d’Aiello, o per l’epidemia che aveva colpito l’esercito e lo stesso Sovrano, ma per la bramosia di ricchezze dei suoi duchi. Secondo Pietro, questi si erano fatti corrompere dall’oro degli assediati come riportano i vv.516-517: <<Qui fluvios nostros dudum siccastis Yberos, in fontes Siculos mergitis omne caput>>, (“Voi che già avete disseccato i nostri fiumi iberici, ora tutto il capo emergerete nelle sicule fonti”). I fiumi Iberici conterrebbero una sabbia color oro e che i suoi duchi avrebbero simbolicamente dragato; ma ha anche il significato, più vero, di cupidigia dell’orda mercenaria che era al seguito dell’Imperatore; infatti, non contenti, i duces imperiali attingono oro anche dal Regno di Sicilia, di re Tancredi. La “Cronaca” di Riccardo da San Germano riporta un racconto diverso e molto più reale perché fa riferimento sia al valor militare del Conte di Acerra, che ha <<Difesa abbastanza strenuamente (la città di Napoli) a nome di re Tancredi >>, che all’epidemia scoppiata tra l’esercito teutonico (anno 1191).

 

In realtà, lo Svevo sotto le mura di Napoli ebbe un grosso smacco, pur con le sue ingenti forze; ma il poeta fa fatica a dare merito ai napoletani e al suo comandante, il conte Riccardo. Comunque, dovette partire ammalato per la Germania prima che la malattia si aggravasse.

Pertanto, secondo il poeta, scoperto il tradimento dei suoi comandanti e debilitato dalla malattia, l’imperatore è costretto a togliere l’assedio non avendo più uomini di fiducia, come riportano i vv.520-521: <<Nec mora comperta tunc Cesar fraude suorum Arripit a tritea febre coactus iter>>, (“E senza indugio, scoperto allora l’inganno dei suoi, Cesare prende la via del ritorno, costretto dalla febbre terzana”). L’Ebolitano non si rende conto che una tale difesa toglie prestigio al suo “Eroe”, non essendo “stimato” e “obbedito” dal suo stesso esercito.

 

Il poeta si preoccupa dei sostenitori di Enrico VI che afflitti ricordano il privilegio di essere stati a contatto col “Sommo Imperatore” paragonato a Giove” in persona; fa riferimento soprattutto ai sentimenti di Aldrisio, archilevita di Salerno, che aveva visitato da infermo, vv.528-530: <<Quid tibi tunc animi, que mens fuit, archilevita… vetitum posse videre Iovem… et tamen evelli subito temtoria cernis>>! (“Quali sentimenti, quali pensieri avesti, o archilevita…di poter vedere il vietato Giove, ed ora… levar le tende all’improvviso>>! Col ritorno in Germania perdono tanta possanza.

 

Dopo la partenza di Enrico VI, i tancredini in festa entrano nella città di Salerno divulgando, secondo il poeta, false notizie sulla salute dello Svevo, i vv.545-548: <<At Tancredini redeunt, rumoribus implent urbem, che magno principe falsa ferunt: “Hic: obit! Ille: Obit!”, “Calet” hic, frigescit!” et ille asserit; incerto fluctuat ore fides>> (“E ritornano I Tancredini, di false voci riempiono, la città, false notizie diffondono del grande principe; che dice: <<Sta morendo>>, chi: <<È già morto>>, chi: <<È ancora caldo>>, chi dice: <<È ormai freddo>>; vien meno la fiducia sui volti incerti”. Purtroppo, partito l’imperatore, i seguaci di Tancredi fanno prigioniera Costanza, causa del “dramma” che vivrà Salerno tre anni dopo, quando Enrico VI la distruggerà.

 

La traduzione dal latino è del prof. Carlo Manzione, dal libro “De rebus siculis carmen ad honorem Augustia cura di Mariano Pastore;  mentre l’articolo è tratto dal libro dell’autore: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”.

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